
Philosophy of a Knife, le sevizie rappresentate nelle 4 ore di film entrano ancora più in profondità quando si realizza che è una storia vera.
Philosophy of a Knife, le sevizie rappresentate nelle 4 ore di film entrano ancora più in profondità quando si realizza che è una storia vera.
Philosophy of a Knife è un docu-horror basato sulla raccapricciante storia dell’Unità 731. Un mix di gore, filmati d’epoca e ricostruzioni al limite dell’umana fantasia rendono questa pellicola un progetto davvero molto ambizioso.
In tutti i 247 minuti del suo film, Andrej Iskanov pressa molto sull’orrore umano, senza risparmiarci le riproduzioni di vivisezioni, mutilamenti senza anestesia ed esperimenti sanguinolenti. Tra la scarnificazione di un teschio e l’estrazione di un’intera arcata dentaria, le 4 ore scorrono abbastanza lente, con solo un’ancora a tenerci attaccati alla storia. Anatoly Protasov. Una figura la cui effettiva esistenza storica non è confermata ma che ci accompagna lungo quasi tutto questo infinito cammino.
Dopo la sua uscita i critici cinematografici si sono spaccati a metà: chi lo considera un capolavoro, al pari de La passione di Gibson, e chi lo reputa solo un tentativo malriuscito di un film di nicchia. In ogni caso, ha lasciato il suo segno.
Seconda Guerra Mondiale, stato fantoccio giapponese di Manchukuo (ad oggi una parte della Cina nord-orientale). In uno sperduto complesso lavora il Dipartimento per la prevenzione delle epidemie e la purificazione dell’acqua dell’esercito del Kwantung. In realtà all’interno del complesso sono nascoste due prigioni dove l’Unità 731 dell’esercito giapponese conduce esperimenti umani letali. Lo scopo era quello di creare e testare delle armi chimiche e batteriologiche da utilizzare in guerra, a prescindere dalle metodologie.
Indicibili le torture inflitte alle vittime durante i 9 anni di esistenza di quell’unità, fino al 1945, quando la struttura venne debellata e i ricercatori vennero arrestati. Nel 1949 quegli stessi scienziati e i militari vennero processati in Unione Sovietica durante i processi per crimini di guerra di Khabarovsk.
A raccontarcelo non è un sopravvissuto a questi orrori, ma un testimone indiretto: Anatoly Protasov. Studente russo di medicina, viveva e lavorava in una città vicina al “Dipartimento” e solo in seguito, facendo da traduttore, è venuto a sapere degli inumani esperimenti.
Philosophy of a Knife, le sevizie rappresentate nelle 4 ore di film entrano ancora più in profondità quando si realizza che è una storia vera.
L’unità 731, in giapponese 731部隊, attorno a cui ruota tutta la trama è davvero esistita. Era così denominata l’unità segreta di ricerca e sviluppo dell’esercito imperiale giapponese che lavorò durante la seconda guerra sino-giapponese e la seconda guerra mondiale. Responsabile di alcuni dei peggiori crimini di guerra perpetrati dal governo del Sol Levante, l’unità 731 annoverava tra i suoi esperimenti sugli esseri umani la vivisezione, l’iniezione volontaria di malattie e i test di armi biologiche. Tra le vittime c’erano anche bambini e donne incinte, di diverse nazionalità ma prevalentemente cinesi. La stima dei deceduti è tra le 200.000 e le 300.000 persone, mentre non esistono sopravvissuti documentati.
Questa storia è stata presa da Philosophy of a Knife e riprodotta abbastanza fedelmente grazie all’uso di filmati originali d’archivio, interviste con i sopravvissuti e registri. Ovviamente, accanto a questa parte storica, si affianca la recitazione, estremamente grafica e cruda, che ha un forte accento di ricostruzione. Infatti, con il procedere del film possiamo notare come lo stile documentaristico si alterni sempre di più alla fiction vera e propria.
Philosophy of a Knife tra filmati d’epoca e ricostruzione, porta sullo schermo esperimenti che vanno oltre il limite dell’umanità
Quindi sì, il film è basato su una storia vera e la maggior parte delle atrocità che vediamo riprodotte non sono state inventate. Nonostante ci siano diversi filmati originali, la pellicola è un patchwork di storia, rievocazione e sceneggiato.
Philosophy of a Knife sono oltre 4 ore di testimonianza dell’orrore umano. Per quanto la pellicola possa catturare anche i fan più accaniti del gore, il senso di angoscia e repulsione non nasce dalle immagini crude. Il vero horror sta nel sapere che quei fatti sono realmente accaduti e il film non è altro che la trasposizione di una storia realmente accaduta.
Una trasposizione un po’ particolare, a dire il vero. Si tratta infatti di un film low budget molto lungo che pecca in molte delle sue parti. A partire dagli attori, principalmente non professionisti, che sembrano più delle modelle che delle vittime di atrocità. La maggioranza del cast è caucasica, caratteristica poco rappresentativa di coloro che erano confinati nel campo di prigionia. Le stesse prigioni sono un po’ poco realistiche.
Il divario tra realtà e finzione diventa evidente già al primo inserimento di filmati d’epoca. In questi accostamenti la trasposizione mostra tutti i limiti di un budget ristretto.
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